Friday 15 August 2008

Car boot (ed altre cosette)




Per una volta proviamo a scrivere un post nello forma che ci si aspetta da un blog, cogliendo anche l'occasione per iniziare un nuovo tag: Visiting Britain.

Si perche' questo Paese, pur non avendo la ricchezza o la tradizione artistica e culturale italiana, offre interessanti realta' architettoniche e naturalistiche, ben oltre quello che avrei potuto immaginare appena arrivato.

Ad esempio, il Pembrokshire: la regione piu' ad ovest del Wales (quello che noi italiani chiamiamo Galles, e che i gallesi chiamano Cymru). Tradizionale meta turistica per i britannici, almeno prima che i voli low cost aprissero le spiagge del mediterraneo a quella fascia di persone che non si potevano permettere viaggi all'estero, resta comunque una zona molto frequentata, da un turismo fatto di principalmente di countryside walking.

La partenza e' stata venerdi mattina, M4 direzione West. Viaggio tranquillo, con sosta nell'area servizio per immancabile acquisto di junk food e beverone di caffe' Costa (prima o poi scrivero' post adeguati su entrambi).

Arrivati a Pembroke, ci siamo imbattuti in un car boot.


Avete una racchetta da tennis in legno di quando sognavate di diventare come Bjorg? Una vecchia videocassetta di Jane Fonda che sgambetta al ritmo di musica anni '80? Il trenino di vostro figlio, ormai studente universitario? Il profumo alla lavanda che vi ha regalato vostra cognata, proprio a voi che ovviamente siete allergiche alla lavanda? Il car boot, una sorta di riciclo ante litteram, fa per voi.

In sostanza, chi ha qualcosa da vendere la mette nel bagagliaio della macchina (il boot per l'appunto), poi si dirige nel luogo di ritrovo stabilito, un parco o un parcheggio, la espone su una tovaglia posta per terra o su un tavolino, e la vende (esentasse, visto l'inessenziale scambio di denaro). Un modo per liberare la propria cantina, probabilmente occupando, visto la paccottiglia, quella di qualcun altro.

Io, dopo avere resistito all'acquisto di una bilancia d'antan e di un modellino in plastica di aereo da montare (mai sentito prima il desiderio di montarne uno ovviamente) ho investito un pound per impossessarmi di un contenitore di spaghetti in ceramica bicolore, con sopra l'italica scritta PASTA! Non avendo una cantina, ora devo solo trovare lo spazio nella mia gia' sovrappopolata cucina...

Adempiuto il rito dell'acquisto d'impulso, abbiamo cercato un alloggio per la notte.

Non avendo prenotato, nell'idea di aspettare fino all'ultimo se fosse valso metereologicamente la pena andare, tutti i B&B carini ed economici erano fully booked, per cui siamo finiti in un ostello (e ringraziando pure, perche' erano gli ultimi due posti, poi ci sarebbe stata la macchina od il mesto ritorno a casa). L'ostello, atmofera ed arredo da rifugio di montagna, e' a due passi da Marloes beach (non pensate a Viareggio o Malibu beach, niente ombrelloni o stabilimenti, bensi' scogliera). Molto piccolo, una ventina di posti letto in tutto, essenziale ma immerso in una scenografia da film: casettina bassa e grigia sulla punta estrema della scogliera. La giornata eccezionalmente ventosa poi, rendeva l'iconografia perfetta, e le passeggiate... impraticabili!

Per cui serata passata nell'unico ristorante del paese (ottimo Beef Bourguignon, mediocre Leg of Lamb, casomai passaste da quelle parti) e, proprio come nei rifugi di montagna, per le undici gia' a letto.

Il giorno seguente ci siamo diretti verso nord, destinazione St Davids. Li' nel paesino piu' piccolo del Galles, c'e' la cattedrale piu' grande.

Durante il viaggio ci siamo un po' fatti portare dalla strada, fermandoci lungo la costa, scoprendo un piccolo negozietto di ceramiche celtiche ed un mulino ad acqua in una minifabbrica di tessuti, ma alla fine siamo arrivati.



Per me, che ho scarse basi di storia dell'arte, vista una cattedrale viste tutte...visto un Bishop Palace visti tutti (ragion per cui mi sono risparmiato i tre pounds che chiedevano per fare un giretto tra i resti della casa del Bishop). Incrociando pero' le informazioni delle guide turistiche e' venuto fuori che due viaggi fin qua valevano come uno a Roma, mentre tre come uno a Gerusalemme. Insomma, non proprio una cattedrale come le altre!

Sara'...ma i tempi sono cambiati. Sara' che qui sono piu' pragmatici, ma non c'e' chiesa senza il suo coffe shop. Qui i mercanti nel tempio ci sono entrati e ci hanno messo radici. Se in Italia l'autofinanziamento e' lasciato alla carita' della scatoletta all'entrata, all'accensione delle candele e all'acquisto di qualche, in genere sbiadita ed incurvata, cartolina, qui si vende di tutto; lo shop e' simile a quello di un museo: vuoi la matita con la silouette della cattedrale? La cioccolata con l'incarto col nome della chiesa? Il cd di musica sacra e la tazza che ti dice "Saluti da St David's cathedral"? Li trovi! E poi un vero e proprio ristorante, pure su due livelli. In realta', polemiche a parte, credo che la forma sia salva, perche' tutto questo viene in genere collocato nella zona del cloister (chiostro), ma a me il contrasto stride un po'.

Il resto della giornata lo abbiamo passato accompagnati dalla pioggia, ed il rientro e' stato una vera traversata dell'oceano....mai visto tanta acqua...finale scontato: un gran mal di testa. Morale? Prossimo anno gavettoni al Twiga! ;)

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